Tranne che di retorica

La tenda bianca del soggiorno danza dolcemente e muove le ombre dentro casa e io sento mia madre dire ancora una volta

se va avanti così mi trasferisco anche io“.

So che non succederà mai – o chissà – ma mi e le concedo il beneficio del dubbio.

Dall’insopportabile calura meridionale, quegli oltre quaranta gradi che ti bruciano la pelle e ti annebbiano i pensieri, sono fuggita un anno fa e ora che in casa non servono neppure le pale del nostro ventilatore Sanyo azzurro – pezzo vintage di famiglia – benedico quel giorno in cui ci siamo sciroppati 944 chilometri di possibilità.

Questo non vuole essere un resoconto di questo anno di vita a Trento ma in questi giorni, sfogliando un magnifico numero di D di Repubblica, mi tornano negli occhi e nei sentimenti luoghi, pensieri, detti e non detti di un meridione italiano che non abito più.

Portami al mare Fammi sognare

Capelli bagnati e luce del sole e un Sud a cui serve un Manifesto per raccontare quello che ancora non è ma che vorremmo che fosse. Io, forse, non più.
O meglio, non ci sto più a vivere in un sogno. Voglio una vita reale dove veramente ciascuno cresce solo se sognato (Danilo Dolci).

Raramente mi infilo in qualche inutile bagarre sul social più anziano che c’è ma ultimamente mi è successo, per rivendicare che non siamo codardi, non siamo molli e non siamo nemmeno approfittatori a vivere in posti che non sono i nostri. Siamo persone e non alberi e in qualsiasi altrove è valido sentirsi a casa se c’è una comunità che si sogna e si realizza, attraverso processi collettivi di pensiero e azione.

Nascere a sud, però, è distintivo. È lì che i tuoi pensieri si sono formati e il corpo ha imparato a stare nel mondo e te lo porti addosso come un tatuaggio invisibile ma che tu conosci profondamente e gli altri vedono, come in trasparenza. Pensi meridionale, pensi in carenza, vivi in mancanza.

Se nasci in un posto che qualcuno ha definito Vergogna di Italia, non importa quanto sforzo ha fatto quel posto e tutte le sue persone per emanciparsi, tu vergogna ti ci sentirai un po’, sempre.

Anche se il resto è storia.

Una storia personale e collettiva

È una storia che è anche un poco mia ma che in qualche modo non è bastata a farmi restare. Una storia fatta di Intercity notte o di aerei fino a Bari e poi “da lì qualcuno mi viene a prendere”. Una storia di dipendenza; che chiede rivendicazione di autonomia e affermazione. La mia, e non solo.

Un vissuto collettivo puntellato di “quando scendi” e “quando te ne vai”.

Regioni del sud con un grande bisogno di intelligenze di ritorno ma fatte di numeri che dicono il contrario.
La diaspora meridionale è sempre tutta lì. Ancora e ancora.

E allora,

un sud, dice Nicola Lagioia, ancora tutto da raccontare.
un sud, dice Diego De Silva, con un talento incredibile nello sprecarsi.
un sud, dice Santo Versace, dal quale veramente non te ne vai mai.

Una questione meridionale che ha bisogno di tutto, tranne che di retorica.
Tantomeno della mia.

Ph. di Francesca Zito

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