Le parole sono importanti, per citare un calzante Nanni Moretti.
Linguaggio, espressione di sé e costruzione del mondo che ci circonda sono intimamente connessi. Ed è per questo che Empowerment non mi piace. Già, non mi piace eppure è così usato ed abusato.
Allora sono andata da dio Google a chiedere lumi.
Ho digitato prima Empowerment femminile e ci sono circa 1.070.000 risultati.
Poi, ho digitato Enhancement femminile e qui ci sono circa 727.000 risultati, con associazioni di significato che hanno – di rado – connessione al concetto ormai comune di empowerment.
Andando alla radice della lingua e al suo significato la differenza tra i due termini è abissale.
Empowerment, traduzione: Potenziamento – approvazione del potere, autorizzazione ad agire, legittimazione.
Enhancement, traduzione: Valorizzazione – costruzione del valore e suo riconoscimento. Deriva da raise up, aumentare, far crescere.
Come si rapporta il linguaggio al nostro mondo e alle nostre pratiche di vita?
Le parole hanno una valenza sociale forte, le scelte linguistiche che facciamo influenzano il nostro modo di pensare e agire.
Ci uniamo e separiamo attraverso il linguaggio, comunichiamo e pensiamo, in un continuo rapporto di interdipendenza tra queste due dimensioni.
“Il linguaggio determina quella trasformazione dell’ambiente che noi chiamiamo civilizzazione. Consideriamo qual è il punto centrale che distingue l’umanità dalle altre specie. L’umanità non è guidata da istinti come gli animali.
[…] Ora l’instrumento che rende possibile il reciproco comprenderci è il linguaggio, mezzo del pensare comune. Il linguaggio non esisteva sulla Terra finché l’uomo non vi fece la sua comparsa” (Montessori)
E allora perché usiamo Empowerment invece che Enhancement?
Così come amiamo la parola potenziamento eppure ce ne sono molte altre: valorizzazione, sviluppo, accrescimento, miglioramento. E invece no, scegliamo potenza e potere, che ricordano sempre una azione di forza e di influenza sugli altri.
Nel suo piccolo dizionario “Femminismo in progress”, Simonetta Sciandivasci su Il Foglio porta la definizione di empowerment a un altro livello.
Empowerment – Declinazione progressista del superomismo. D’Annunzio applicato al life coaching: se hai stima di te, e devi avere una stima assoluta perché tu vali e sei unica ed eccezionale e ciascuno di noi è un capolavoro, puoi fare tutto, tu meriti tutto, non hai che diritti più un solo dovere, amarti subito e senza condizioni.
Ecco io di avvalorare il superomismo dannunziano, nel 2021 e per la causa femminista, non me la sento.
Sento, però, che possiamo trovare un altro modo per dire e ridurre le disparità di genere. E possiamo anche trovare qualche parola in italiano, possiamo pensare nella nostra lingua qualcosa che sia più vicino ai concetti di crescita, di sviluppo, di sostegno e di valore e un poco meno di potere.
Che di consacrarci ai modelli maschili nel lavoro e nella vita ne abbiamo, ne ho, abbastanza.
E se attraverso la lingua agiamo un pensiero, io voglio che non sia un pensiero di potere, al massimo potenziale: quel momento che precede la piena e completa manifestazione e realizzazione e che, in quell’attimo, apre lo spiraglio della creatività e della creazione.
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